Melchior Missirini, “Poesia. Di un improvviso di Luigi Cicconi”

Missirini uses the example of improvisatore Luigi Cicconi to write a brief history of improvisation.

Performer Name:
Cicconi
Performance Venue:
 
Performance Date:
 
Author:
Missirini, Melchior
Date Written:
1832
Language:
Italian
Publication Title:
Biblioteca Italiana ossia Giornale di letteratura scienze ed arti
Article Title:
Poesia. Di un improvviso di Luigi Cicconi.
Page Numbers:
68: 135-139
Additional Info:
 
Publisher:
La Direzione del Giornale
Place of Publication:
Milano
Date Published:
1832

Text:

La celeste ispirazione istantanea di un ingegno alto, immaginoso, passionato e veloce, che recasi pronto a trattare nel canto con numeri non pensati qualunque argomento proposto, è fenomeno tanto sorprendente, che Cicerone lo dice magnanima audacia.

Allora veramente il poeta può chiamarsi invaso e rapito fuori delle umane condizioni: allora ei crea, contempla, [136] anima e dipinge idoli ignoti, nuove fantasie, specie improvvise, e bellezze spiritali e intellette. L’uomo assume sembianza di una specie di divinità, che desta venerazione e meraviglia, come le cose sacre. Questo pregio è tanto cospicuo che lo stesso Tullio nella divinazione o nelle Tusculane non teme di dirlo dimostrazione della divinità dell’anima nostra: Ego Poetam, grave plerumque Carmen, sine cœlesti aliquo mentis instinctu, putem fundere? = Atque etiam illa concitatio declarat vim in animis esse divinam.

Fra le antiche nazioni privilegiate di questo dono mirabili furono la greca e la latina.

I Greci perchè possessori della perenne civiltà di molti secoli tutti dottissimi: perchè popoli d’indole viva, ardente, creatrice: dominati dalla fantasia e dal cuore: alteri della dignità degli uomini più sapienti della terra: lieti di una plaga mitissima, di un suolo fecondo: pieni la mente e l’animo dell’inenarrabile armonia della loro lingua: ed emulati alle prove generose di solenni letterarj pericoli.

I Latini perchè finalmente eredi del senno e dell’eleganza greca: superbi della loro forza e potenza: tratti alla grandezza delle idee dalla maestà del loro impero, alla novità de’concetti dalla varietà delle loro vicende: educati anch’essi alla soavità, nitore, evidenza, copia e decoro di una lingua magnifica, e anch’essi, come i Greci, fatti beati di una teogonia poetica, e adorna di brillanti e sapienti immagini.

Per tali condizioni ambedue queste genti nella grazia e nella pompa del canto improvviso si segnalarono. Benchè nella Grecia il canto improvviso possa dirsi antico quanto la poesia stessa, avendosi da Erodoto, che il medesimo Omero tessea versi subitamente, obbedendo come al dettato di un Nume; nondimeno dopo il Meonio cantore quest’arte ebbe splendido incremento. Lode somma di famoso in quest’arduo cimento conseguì quell’antipatro Sidonio, che accrebbe il numero delle muse colla sventurata Saffo: quantunque sulle testimonianze di Callistrato e di Ateneo ei fosse stato dal severo Simonide preceduto nello stesso portentoso esperimento.

Nè meno ottennero celebrità in questa prova del genio inspirato Boeto di Tarsi e Licinio Archia, se le lodi attribuite a quest’ultimo da Cicerone voglionsi avere in conto di verità.

[137] È noto poi come presso i Latini Ovidio Nasone, e il medesimo Augusto Ottaviano, secondo Svetonio, e l’imperatore Adriano, giusta Sparziano, e parecchi altri dettassero versi improvvisi con aurea felicità.

Ma ossia che anche le cose esimie coll’uso destano fastidio, ossia che l’umano ingengo vôlto a salire, come della natura del fuoco, tende allo scoprimento di tentativi sempre più difficili e maravigliosi, l’arte dell’improvvisare appo quelle nazioni medesime divenne cimento quasi obvio e vulgare. Fu perciò conosciuta la necessità d’indagare nuove maraviglie, di lanciarsi a più scoscese eminenze dell’arte, di levare la mente ad una regione più sublime, e d’infiammare il cuore di perturbazioni più veementi e tremende: l’amabilità e l’incanto di ben tessuta canzone, la grazia di una gioconda dipintura, il volo di un’ode, l’ordine e l’ordire di un carme, come che questi componimenti venissero dettati da una vena spontanea e felice, non satisfecero più all’animo e alla mente. Lo splendore, la letizia, il sorriso onde la musa colora e abbellisce la sapienza più non rapì l’ammirazione e i plausi, anche co’pronti e istantanei modi di un cantare non meditato: perduto il diletto, si perdè l’utile; e la non curanza e la noja estinsero la magia de’subiti cantori, e resero muti i teatri.

Ma se la moltitudine de’mediocri si scoraggiò, i primi campioni dell’arte trassero anzi buon ardimento dai motteggi de’critici, e dalla freddezza universale, per raddoppiare i loro sforzi, onde restaurare di più eccelsa gloria il canto improvviso. Tentarono perciò più difficile aringo: si avventurarono ad una nuova prova, e alla più sublime, e provaronsi a corre estemporaneamente il primo alloro del Parnaso.

Dico che si offersero a tessere la tragedia: l’urto e l’impeto, come dice l’immportale Parini, degli affetti tremendi di quest’azione; il cieco avvolgersi de’casi della medesima, e gli orrendi precipizj de’regi, onde va camminando il cotorno, portarono sugli animi intorpiditi la percossa del fulmine: le menti si eressero; una sacra fiamma invase i petti: si fremette: si gelò: si pianse: e la subita arte de’versi spontanei fu rinovata.

Si ritrae da Plutarco, il divino Eschilo aver declamato tragedie estemporanee: e scrive Strabone che Diogene Tarsense eziandio azioni tragiche, sopra proposti argomenti, [136] come per afflato di un Dio, intrecciò sviluppò: e similmente Lucano produsse tragedie improvvise ardenti di quel suo fuoco generoso, che poi gli tornò in tanta ruina: fra le quali tragedie non pensate suona ancora grande la fama del suo Orfeo.

L’Italia nostra pur anche ha percorso tutti questi stadj nel canto inspirato. Essa, madre di ogni alta e leggiadra cosa: insituitrice dell’europea civiltà, pel retaggio dell’arti greche, per la clemeneza del suo cielo, per la sua potente forza creatrice, per gli animi suoi paratissimi a tutte le discipline dell’imitazione, dell’inspirazione, per la sublimità della sua prisca grandezza e delle sue seguenti sventure, per lo attrito indotto nella sua grande vitalità da’suoi fortunosi accidenti, e per l’infinita armonia, volubilità, efficacia, vigoria e pompa del suo bellissimo idioma, che meglio che ogni altra lingua moderna dimostra, come in soavi modi meglio l’aria si percota articolando voci pittrici de’pensieri; l’Italia a preferenza d’ogni altra più culta moderna gente vendicò per se il vanto ambizioso di dettare versi estemporanei emuli de’modi pensati. Rammentare i Ceroni, i Feroni, i Perfetti, i Gianni e cento altri esimj in quest’ardimento è cosa oziosa; chè le loro melodie eccheggiano ancora nelle itale aure, e gli orecchi dalla rimembranza ne sono tuttavia beati.

Ma questa gloriosa dilettazione, che rallegrava i severi ozj della patria, con ogni beatitudine del viver nostro passò. Oh dolci serali cimenti dell’ingegno italiano! Oh deliziose ville letiziate dal canto subitaneo! Oh dotte gare nobilissime, quanto v’invidiano gli animi riposati! Nuove, ingenti e sconosciute calamità tutto funestarono, contaminarono! E l’Italia già parteggiante, già discorrente ad affetti smisurati, già percossa da mali terribili, fu insensibile alle piane, tranquille affezioni: ebbe pur essa bisogno di più gagliardi commovimenti anche nelle arti del piacere: perciò Rossini ebbe fama colossale: perciò lo Sgricci universa lode usurpò. Dico che la tempesta de’tempi recò anche fra noi nel canto improvviso la tragedia.

Luigi Cicconi, anconitano, cimentasi pur esso a questo agone: in Roma si produsse co’primi saggi del suo fervido ingegno, e riscosse plauso. Lo udì la Sicilia, ove già nacque la tragedia stessa, nè egli si mostrò indegno delle ombre di Bione e Teocrito.

[139] Ultimamente è venuto nell’Atene dell’Italia, la bella Firenze, a produrre esempio del suo valore. Nella prima prova sulla cacciata del duca di Atene, se non ottenne pieni suffragi, molti lo commendarono di prontezza e facondia: nel secondo cimento sopra Lodovico il Moro si mercò lode da una corona sceltissima di persone cospicue per dignità , per dottrina, per gentilezza.

Ove si fosse richiesto al Cicconi il piano di un’azione filata colla più pesata filosofia, con una prudenza ed economia alfieresca, con una locuzione sempre grande, stretta, terribile quale alla tragedia si conviene, con caratteri studiati profondamente, e mai non ismentiti, con un intreccio bene ordito e meglio sciolto, e con una catastrofe da farti gelare per timore, pre raccapriccio, per amaritudine; questa domanda sarebbe stata indiscreta, e lo stesso poeta dovea essere facilmente assolto quando non vi avesse corrisposto. Ma le pretese dell’onesta udienza furono limitate, ragionevoli, e tali che si poteano compiere da un poeta estemporaneo: e perciò egli satisfece al comun voto. Quando la conoscenza delle difficoltà da doversi vincere, e la ragionevolezza si appaghino di vive pitture, di sentenze forti e accommodate al tema: di cori armoniosi e immaginosi: di un inviluppo verosimile: di affetti ben sentiti e bene espressi, e di una locuzione felice e nobile; questi pregi spiegò il Cicconi, e con questi conseguì quel plauso che gli dee accrescere l’animo per cogliere, con uno studio costante e con assiduo esercizio, maggiori e più splendidi allori.

Melchior Missirini.

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