Alessandro Luzio, “Amarilli Etrusca”

Luzio summarizes the correspondence between Teresa Bandettini (Amarilli Etrusca) and the Abbot Saverio Bettinelli. Bandettini’s letters describe her poetry and performances in glowing terms, but the critic finds her work mediocre. While Luzio admires the fact that she continued to perform her poetry to support her family financially, her verses remain boring and tiresome.

Performer Name:
Bandettini
Performance Venue:
 
Performance Date:
 
Author:
Luzio, Alessandro
Date Written:
1910
Language:
Italian
Publication Title:
Studi e bozzetti di storia letteraria e politica
Article Title:
Amarilli Etrusca
Page Numbers:
123-139
Additional Info:
 
Publisher:
L.F. Cogliati
Place of Publication:
Milan
Date Published:
1910

Text:

Sfogliando il ricchissimo carteggio dell'ab. Saverio Bettinelli, posseduto dalla Bibl. Comunale di Mantova, mi ha colpito la copiosa corrispondenza ch'egli ebbe con Teresa Bandettini; l'improvvisatrice, un tempo famosa col nome di Amarilli Etrusca.

Sono infatti ben centodieci le lettere di Amarilli Estrusca al Bettinelli; più la copia di un'altra a Fernando Arrivabene, il commentatore di Dante. La Bandettini si vantava di essere figlia adottiva …in poesia dell'ex-gesuita — il "gran Diodoro", l' "immortale Diodoro", come invariabilmente lo chiama dal nome arcadico –; e ad esso perciò, come a padre e maestro, dava continuo e minuto ragguaglio delle vicende or liete or tristi della sua vita artistica, versando con pieno abbandono o l'ebbrezza de' molti facili trionfi, o gli sconforti non meno frequenti per le delusione e le angustie finanziarie che a quelli si alternavano. Scrive giù, a volo di penna, massacrando spesso l'ortografia e la sintassi, e sempre con francesismi, con frasi ampollose attinte a quel gergo retorico-mitologico che faceva le spese delle sue improvvisazioni. Incredibile è la fatuità ingenua con cui parla di sè e de' suoi successi — o incontri, com'essa dice –, pigliando sul serio tutte le lodi più iperboliche e più strambe degli ammiratori e de' vagheggini che le erano attorno. Ogni sua Accademia è stata un avvenimento; tutte le volte folla da soffocare, applausi strepitosi di mani … e di piedi; e sempre ella ha "superato sè stessa". Raramente però corrispondono i risultati materiali, i doni o gli incassi: e il più spesso è costretta a pascersi di speranze. La povera donna, che va soggetta a convulsioni terribili, forse per l'orgasmo di quella vita nomade e le sforzate esaltazioni del Dio agitante, è continuamente preoccupata del domani, non tanto per sè quanto pel marito malaticcio e per il suo bambino che la seguivano in quelle peregrinazioni; e dei quali parla sempre con grande tenerezza. Benchè già ballerina, benchè esposta di continuo alle seduzioni de' galanti, la Bandettini, sia detto a sua lode, non diede mai presa alla maldicenza e si mantenne illibata.

Vi sono dunque delle notizie assai curiose in queste lettere, e forse buona parte se ne potrebbe pubblicare col titolo "Splendori e miserie della vita di un'improvvisatrice"; a me basterà semplicemente di spigolare con qualche larghezza in questo carteggio, che non è de' meno interessanti della ricchissima corrispondenza Bettinelli.

La prima lettera conservataci (1) ha la data di Roma 29 gennaio 1794. La Bandettini racconta d'esser stata ad una seduta dell'Arcadia: e per le acclamazioni degli astanti al suo apparire, il Predicatore "che faceva la prosa sopra il divin nascimento, dovette tacere"; nè gli altri furono più ascoltati dal pubblico impaziente di applaudire le improvvisazioni di lei. "Tutti questi Cardinali e Principi mi prodigano il titolo di divina ed assicurano di non aver sentito mai di meglio e che io sola ho dimostrato quanto si possa dire improvvisando". Ha già degli inviti per molte Accademie: dal Duca di Ceri, dal Senator Rezzonico, dal Principe Pugnatoschi (sic), che in Arcadia le diede l'argomento "Colombo in America" e vuol meglio gustarla in un'eletta riunione di famiglia. L'Arcadia collocherà presto solennemente il suo ritratto nel serbatoio. Ciò che avvenne infatti il 2 marzo, con un'Accademia "nella quale lesse il suo bravo componimento anche l'abate "Vincenzo Monti" (2).

Con lettera 3 aprile, Amarilli informa il Bettinelli di due grandi successi: dell'Accademia cioè data in casa del Duca di Ceri, che le ha fruttato 100 doppie; e di un'altra presso la contessa tedesca di Solmes, presenti il nipote del Re di Polonia e il Principe Augusto, figlio del re d'Inghilterra. A Roma sono tutti pazzi di lei, ed ha avuto l'offerta di un assegno annuale perchè non ne parta mai più. — La lasciò invece l'anno dopo, per recarsi nel giugno a ricevere dalle mani del Bettinelli la corona olimpica, in un'adunanza dell'Arcadia mantovana (3).

Nel settembre 1795 passò a Lucca sua patria, dove la si era attirata con lusinghiere promesse: ma fu una delusione compelta, e se ne sfoga amaramente col Bettinelli, usando un linguiaggio tragicomico divertentissimo: "Le speranze che voi ed io nutrivamo si dissipano, l'avarizia e l'ingratitudine ne fan guerra. Più non si parla di ricompensa, mi si profondono lodi e nulla di più quanto è sterile l'alloro! A dirvi la verità io son piccata, e lo sono a segno di tacere a tutti l amia prossima partenza, tanto qui non v'è d'attender di meglio, che farci? Voi che siete lo storico de' miei fasti, ponete tra questi ancora questo cattivo evento, così Amarilli uguaglierà in fortuna il cantor di Goffredo e quel d'Orlando. Ora andate a credere alle promesse! tante premure acciò io ritornassi, tante lettere per poi darmi una solenne canzonatura! Io se più resto non mi fido della mia prudenza, temo un momento d'estro che improvvisar mi facci ain prosa delle verità disgustose. La politica non è stato mai il partaggio (sic) de' poeti, io a parer vostro son poetessa, potrei porre in opra ciò che non posseggo?"

La Bandettini tornò tuttavia a Lucca tre anni dopo, e allora ebbe la fortuna d'incontrarvi il Miollis, quel buon diavolo di generale francese, che si sbracciava a fare il mecenate nell'Italia depredata dai suoi connazionali. Amicissimo del Bettinelli, il Miollis accordò subito ad Amarilli la più calorosa protezione, malgrado ella fosse in sospetto per certe poesie anti-francesi. Scrive infatti al Bettinelli d'aver dovuto dapprima "palpitare non poco" tanto più che "delle persone caritatevoli le fecero onoratamente la spia"; ma se la cavò con qualche dolce rimprovero. Una lettera del Miollis, a cui seguono poche righe dela Bandettini, ci dà le impressioni più entusiastiche di qeusto incontro del generale francese con la poetessa. "J'ai eu le bonheur — scrive il Miollis al Bettinelli, dell'ottobre 1798 — citoyen cher collegue, de trouver ici la Sapho moderne"; e si è affrettato a presentarle i suoi omaggi, per le tante virtù che la rendono cara agli amici delle arti, delle lettere e dell'umanità! L'ha trovata quale il Bettinelli glie l'aveva descritta: e si profonde nelle più enfatiche lodi per Amarilli. La quale a sua volta aggiunge, a tergo del foglio stesso, che il Miollis ha tolto, come Virgilio, anche lei "dall'oblivione" alludendo alle note feste, fatte celebrare in Mantova dal generale francese per l'altissimo poeta (4).

Il Miollis partì da Lucca nel febbraio del '99, affidando la Bandettini alle grazie de' suoi commilitoni, il Serrurier, il La Tour, che le promettevano una splendida fortuna. Ma essa era sempre in penosa incertezza: "penso che ho dei bisogni — lettera 22 febbraio — e ho una famiglia e una madre vecchia da mantenere, nel momento che non posso trar profitto com'altre volte da' miei successi". Più tardi annunziava esser venuto l'ordine da Parigi di farle un regalo a nome della nazione francese: "il generale La Tour vuole che sia di trentamila lire tornesi, però vedo una certa lentezza nel pagamento che non mi piace, già che avrei estremo bisogno". E in realtà non ebbe mai nulla, e doveva consolarsi con "le Muse solitarie" di queste delusioni e del silenzio, a cui i tempi procellosi constringevano il suo estro di improvvisatrice. Del primo dicembre 1799 annunzia al Bettinelli un poemetto in tre canti sulla villeggiatura di Viareggio; del 15 scrive che sta rivedendo "la già da tanto tempo incominciata Teseide", e ne ha limati i primi sei canti. Il Bettinelli le era prodigo di approvazioni entusiastiche; ed Amarilli, con un lampo di buon senso, lo scongiurava di esser giudice più severo: "taccia l'amico, il maestro indulgente, avvertitemi ove io abbia mancato acciocchè sappia correggermi per l'avvenire". Ma l'autore delle Lettere virgiliane non trovava che plausi per la borra poetica inesauribile della Bandettini: e questa sempre più baldanzosa gli esponeva i grandiosi disegni della sua Teseide. Da Modena, dove la troviamo nel gennaio 1800, dopo breve sosta a Bologna per un'accademia che le riuscì come sempre fortunatissima, scriveva in proposito al Bettinelli: "Il piano della mia Teseide lunga cosa sarebbe descriverlo, però vi dirò che principalmente vi campeggia l'impresa del Minotauro. Non sarebbe difficile, quando io trovassi un illustre mecenate il farlo discender da Teseo, più d'un loco me ne offre il campo. Egli va all'inferno, scortato dai consigli d'Anfiarao che in quei tempi si era ritirato in un'isola onde non andare a Tebe: questo Anfiarao istruisce il mio eroe di molte cose, e qui pure potrei come Melissa a Bradamante farlo profetizzare eroi e trionfi… Ma dove è il Principe che ambisca all'onore di discendere dagli Eretidi?"

Bisognava intanto procurarsi da vivere e la Bandettini smise il poema per intraprendere un giro artistico, munita di molte commendatizie che le diè il Bettinelli. Fu a Venezia nell'aprile del 1800 e non ebbe che a lodarsi delle accoglienze cordiali, avute dal Pindemonte e dalla Albrizzi. Aveva incontrato parecchi prelati, conosciuti a Roma, che accrebbero l'aspettativa intorno a lei: e in una prima accademia al casino Turri, cantando al piano, fece "furore". Da una seconda accademia, del 18 aprile, ricavò la bella somma di 220 ducati: la Albrizzi stessa si era data attorno per esitare i biglietti (5). Da Venezia, nel giugno, ripassò a Mantova; e tutta quell'estate si trattenne a Modena. In una lettera del 10 luglio è notevole quest'accenno oscuro ad una relazione che ella giudicava compromettente: "Io sto bene lungi dai rumori, e dalle lusinghe d'una persona, che la sua (sic) amicizia mi potrebbe esser pericolosa: il conte Murari vi dirà chi è". Ma non ne parla mai più: ed è la sola volta che si possa intravedere nella Bandettini una lontana debolezza per le insistenti premure di qualche ammiratore: forse del Miollis. — Dall'ottobre del 1800 al febbraio del 1801 ella fu a Parma, dove dal R. Infante ebbe splendido trattamento e cospicui doni: tra gli altri una bellissima ripetizione d'oro. Nel maggio diede accademie a Brescia; nel giugno a Bergamo, dove de' più infervorati ad applaudirla era il vescovo Dolfin, buon letterato, che la fece "padrona della sua casa e della sua tavola" (Lettera 10 giugno). — Era stanca, affranta; giù di salute anche il marito, e il bambino pel quale sopratutto era agitatissima; ma non poteva darsi riposo: "le malattie e le spese fatte — scriveva l'8 luglio — mi pongono nella necessità d'abusare effettivamente de' miei talenti". In quel mese era a Verona, dove il Miollis e Silvia Verza non mancarono di prestarle il più valido appoggio. "Qui pure –lett. 23 luglio– ho sofferto un orribile attacco di convulsioni unito a un male eccedente di stomaco, da cui mi liberai mercè un emetico da me richiesto ed inghiottito coraggiosamente la vigilia istessa della mia accademia". Ma al Bettinelli, che si preoccupava della salute di lei, Amarilli, rianimata dal successo, scriveva qualche giorno dopo: "Non vi ponete in pena… un resto di gioventù e tutto il vigor di un'anima che brucia di desiderio di segnalarsi, la vincono sulla gracile tessitura del mio corpo. Fin che mi aiuta il coraggio mi rido dei mali alla cui vista inorridiscono le lezionse femmine moderne". — Il 5 agosto dava una seconda accademia, più brillante ancora, dinanzi a un pubblico fiorito, con gran numero di dame eleganti, tra le quali la Verza si levava "siccome Cinzia fra minori stelle. "–Vedete? improvviso versi scrivendo in prosa, segno che la mia testa è tuttora esaltata" (6).

A Verona capitò un caso curioso alla Bandettini per parte di quell'originale del Miollis. Infatuato della poetessa aveva fatto stampare un volumetto elegantissimo di Rime estemporanee di Amarilli (6); composizioni intere, e frammenti raccolti nelle sue molte accademie. V'era un ritratto della Bandettini, disegnato dal Guillon, ed assai infelice per la posa goffa di ispirata con cui la rappresenta (7): e sotto, questi versi "Ravvisa un Nume nel divin sembiante — Gareggian Marte amico, Apollo amante" — del Miollis stesso. Il quale aveva aggiunto una sua prefazione al volume, e un'Epistola direttagli per l'occasione da Amarilli. Pareva naturale alla poetessa che di questa stampa il generale dovesse darne a lei molti esemplari, per rispondere alle numerose richieste che aveva da tutte le parti: ma il Miollis voleva serbare la maggior rarità alla raccolta, e malgrado le più vive insistenze non gliene lasciò che pochissime copie (Lettera 16 luglio).

La Bandettini s'era decisa a varcare le Alpi, e tentar la fortuna a Vienna: le accoglienze ricevute a Treviso dalla guarnigione tedesca la avevano riempita delle più liete speranze. "Vi assicuro — diceva al Bettinelli, lettera 21 agosto da Treviso — che i tedeschi non sono antipatici, io gli trovo gentilissimi e generosi, e molto spero della mia gita a Vienna". Vi arrivò negli ultimi d'ottobre del 1801, e dapprima incontrò qualche diffidenza, perchè la si sapeva favorita dal Miollis. Ma nel gennaio seguente era già all'apice della fama. "Io son molto stimata in questa gran capitale — Vienna, 14 gennaio 1802 — si parla di me con gran trasporto da tutti, le gazzette fanno di me onorata menzione, cosa veramente strana, giacchè io sono persuasissima e per me stessa e per lor confessione che non m'intendono! Aveva improvvisato dinanzi all'Imperatrice e all'Arciduca Ferdinando: e dalla prima aveva avuto molte promesse e graziosissime udienze particolari. "Ora — soggiungeva — sto componendo un dramma per questo teatro, anzi un mostro poichè vogliono che si rinunzi al buon senso. Avrà per titolo La morte di Ettore, devo storpiare Omero se voglio servire ai pregiudizi chiamati convenienze teatrali dei due eroi che rappresentano Achille ed Ettore. È forza però piegare alla necessità e sacrificare a certe viste particolari l'onor delle Muse e d'Apollo. Il Metastasio fu fortunato, egli scriveva in tempi in cui la musica era ligia della poesia; ora questa è una schiava tiranneggiata dal capriccio di poche note in cadenza. Da banda adunque gli scrupoli, io farò un'opera come un intercalare con le rime obbligate e ballerò sulla corda co' piè legati. I dotti mi compatiranno, gli sciocchi mi applaudiranno, ed io intanto ne trarrò profitti, giacchè alcun non ne avrei se mi stessi con le mani in mano". E a Vienna la vita era assai cara.

"Il mio dramma — scriveva il 4 marzo –, benchè a senso mio mostruoso, è stato trovato mirabile. Sarà posto in scena con tutto lo sfarzo, e con una musica divina del celebre maestro Paer ch'è trasportato sino al fanatismo per questo libretto". Ma per allora invece non fu più rappresentato, essendo il Paer stato chiamato a Dresda da altri impegni; tuttavia la Bandettini si diceva lieta d'aver ricevuto per quel libretto un lauto compenso, assai più che non avrebbe meritato. E, costretta di vivere alla giornata, di questo genere di composizioni mercantili ne fece a Vienna parecchie. "In Italia –lettera 15 giugno 1802 — bisogna pensare alla fama, qui all'utile: ed io ho inteso benissimo questa necessità, e ne ho profittato in varie composizioncelle che non mi hanno portato altra fatica che quella di scriverle." Anche a Vienna però, alle molte speranze della Bandettini, non risposero i fatti. Ella ne incolpava sopratutto la guerra sorda de' connazionali. "Vi assicuro — scriveva nella stessa lettera al Bettinelli — che la peggior razza che qui alligni è quella degli Italiani: sono essi i nemici di chiunque qui giunge, e a dritto e a torto fanno la guerra ai loro compatrioti, invidiando ad altri quel bene ch'essi non possono sperare". Le si era proposto di restare con annuo assegno per fornire i libretti musicali al Teatro aulico: ma non si concluse nulla. Le si fece balenare la probabilità di essere attaccata all'Imperatrice "essendo questa sovrana amante dello studio" come lettrice e custode "della sua biblioteca secreta" (lettera 14 maggio); ma tutto andò in fumo. L'Imperatrice per altro le regalò una bellissima corona e 300 fiorini, dopo un'Accademia nella quale la Bandettini s'era fatta grande onore, improvvisando su' quattro temi, che le avevan dato l'Imperatrice stessa e la granduchessa di Toscana: Admeto e Alceste — I vaticini di Cassandra — Chi sia più da stimarsi se l'Ariosto o il Tasso — Il ritorno di Cicerone" (Lettera c.s.).

Nel settembre la Bandettini era già di ritorno a Modena, e si proponeva di ripigliare la Teseide e darvi l'ultima mano: ma due mesi dopo doveva ancora mettersi in giro per guadagnare il pane. Fu nel dicembre a Milano: e da un'accademia ricavò novanta zecchini (lett. 9 dicembre 1802). "Il comun voto degli italiani — scriveva allora — sarebbe che la Repubblica mi provvedesse, mal soffrendo ch'io nuovamente debba mendicare la mia esistenza oltremonte: si vuole pur anco che così pensi il vice presidente, ma io non me ne persuado". E invero il Melzi non se ne dava per inteso: ed Amarilli in angustia gemeva per la lontananza del Miollis. Egli era a Nizza, ritirato: coltivando gli aranci, gli olivi, gli studi; questo è quanto la Bandettini sapeva "del moderno Cincinnato" (lett. 8 gennaio 1803).–Partì dunque da Milano per Genova, dove trovò nel Saliceti un protettore zelante, ed anzi l'augurato Mecenate per la sua Teseide. In un'accademia che Amarilli diede là nel marzo, fu il Saliceti che le propose questo tema: "il dispiacere che risentito avrebbe la posterità per non essere vissuta ai giorni nostri". La Bandettini riferisce lungamente all'Arrivabene — lett. 5 marzo — lo svolgimento che fece di questo tema in una trentina di ottave, così felici da meravigliarne lei stessa. Accennò alle più recenti scoperte della fisica e dell'astronomia, alla rigenerazione degli Americani, poi inforcò il suo cavallo di battaglia — Buonaparte, descrivendone la discesa in Italia "più grande di Annibale", la campagna di Egitto, l'assedio di Genova, la battaglia di Marengo. "Qui — soggiunge — un certo avvocato Ardizzoni ha ritenuto alcune ottave sdrucciole, ma ch'io non so, le quali esprimono la battaglia". Le altre età, concluse, ci invidieranno dunque d'aver assistito a tante meraviglie di un eroe straordinario: e non volle finire senza una frecciata al suo rivale, al Gianni (7) che aveva preteso di essere degno poeta di Buonaparte. Ella nomina irosamente il Gianni "qual disgraziato gobbo rettile di libertà" — il "Don Chisciotte di Parnaso" — e gli rende la pari, dicendo che è stato completamente battuto e smascherato. La Bandettini avvertiva poi che fra breve avrebbe dato un'altra accademia, ed in teatro: "lasciati da parte tutti i pregiudizi che altre volte aveva nel prodursi in teatro. Si tratta di fare un buon colpo" — d'intascare cioè molti denari.

In primavera andò a Ferrara dove il Minzoni le fu cortesissimo, tanto che ella scherza col Bettinelli presentandoglielo come un rivale; e di là fece un lungo giro, abbastanza fortunato, in Romagna (lett. da Modena 26 settembre) per restituirsi in autunno a Modena. Curiosa una lettera del 19 novembre, in cui si scaglia contro un recente denigratore (8) del Petrarca, che ha voluto trovare equivoche le relazioni di messer Francesco con Madonna Laura. "Tutti i platonici e in particolar modo voi ed io — scrive al Bettinelli — dobbiamo insorgere contro l'audace che ha attentato alla purezza dell'amore del nostro maestro". E del 7 febbraio 1804, inviando al Bettinelli un congedo ad amore, avvertiva: non è che uno scherzo; "ch'io se veramente fussi stata sulla vita galante non avrei sì presto avuto la forza di licenziare l'amore… Se la primavera per me è finita non so però al decembre. Io ho voluto parlando di me insegnare ad alcune donne che nel crescere degli anni mancano di cervello".

Nata a Lucca nel 1763, la Bandettini, a ormai quarant'anni compiuti, si ritirava dalla scena, avendo finalmente ottenuta la tanto sospirata pensione (lett. 15 febbraio 1804). Voleva adesso attendere tranquillamente all'educazione del figlio, e vivere in modesta agiatezza col marito "con la solita buona intelligenza e tenera amicizia" (lett. 25 novembre): si sarebbe soltanto occupata della pubblicazione della Teseide, ambiziosa persino di "contrastare la palma al Monti!" La stmapa del poema e la sua riuscita finanziaria, le diedero molto da fare dal giugno 1804 al luglio 1805: mecenate era il Saliceti, editore il Gozzi di Parma, revisori il Bettinelli ed il Coccapani "uomo sincero e dotto" (lett. 19 agosto 1804). Il Bettinelli l'aiutò molto anche a trovare associati: la Albrizzi ne fece a Venezia una retata. Con tutto ciò per le agitazioni politiche, onde l'Italia era travagliata, la Bandettini trepidava del successo materiale del poema: era esposta con lo stampatore per 18 mila lire, senza contare le legature, i trasporti, i dazi d'egresso: e s'affannava e insisteva per riscuotere le associazioni (lett. 9 ottobre 1805). Inutile dire le lodi che accolsero la Teseide: con una fatuità veramente grottesca la Bandettini arriva a scriver sul serio (lett. 25 settembre 1805) che "i posteri le daranno fors'anco loco loco non inferiore fra i molti nostri epici!". Povera Amarilli! Quest'ultimo estratto della sua corrispondenza col Bettinelli — che poi sino al 1808, anno in cui questi morì, non offre più nulla di notevole — ci prova sino a quali ambiziosi ardimenti l'avessero spinta gli effimeri successi d'Accademia. La Bandettini morì nel 1837 (9): e dopo cinquant'anni, chi ricorda più la sua Teseide ed anche la sua fama d'improvvisatrice? Quanto a me, soltanto a scorrere la rara raccolta, dovuta al Miollis, delle rime estemporanee di Amarilli Etrusca, in quell'affliggente uniformità di argomenti, che si prestava così bene alle meccaniche simulazioni dell'estro poetico, trovando sempre la stessa robaccia da zibaldone — come non a torto notava il malevolo Gianni — confesso d'aver provato un senso insuperabile di stanchezza e di tedio.

(1) Da lettere di Ferdinando Arrivabene al conte Murari (unite alla corrispondenza Bettinellil) si rileva sicuramente che la relazione del "gran Diodoro" con Amarilli era anteriore al 1793. L'Arrivabene, studente allora a Pavia, parla con entusiasmo della Bandettini che aveva dato là delle Accademie, facendo persino il miracolo di riunire, per sentirla, molti professori che eran tra loro come "guelfi e ghibellini". In una lettera del 25 marzo 1793, pubblicata dal Trevisan (nel giornale Il Baretti, 18 giugno 1874), descrive prima, con sarcasmo, un'accademia di certo De Angelis pittore e improvvisatore, presentatosi in abito magnifico "di velluto, colla spada al fianco, coll'ordine al petto" e lo qualifica un ciurmatore e un asino, che aveva soltanto saputo accaparrarsi le signore con le sue smorfie di cicisbeo; ma quanto alla Bandettini, si mostra addirittura fanatico. Ne ripete molti versi afferrati a volo, e afferma ch'essa è l'ammirazione de' più illustri professori: "Spallanzani è sempre con lei e vorrebbe che studiasse la storia naturale. volta la vorrebbe profonda nell'elettricità".

(2) Ademollo, Un generale francese amico delle muse in Italia, in Domenica del Fracassa, anno II, n 5. L'A. parla del Miollis, e fra l'altro tocca delle sue relazioni con la Bandettini, di cui vedremo in seguito.

(3) Cfr. Ademollo, Art. cit., che reca in proposito una lettera della Bandettini. — Dagli avvisi di Mantova, n 25, 19 giugno, 1795 (Bibl. dell'Acc. Virgiliana) riporto questa amena relazione della cerimonia: "Venerdì sera, 12 del corrente, nel Teatro di questa R. Accademia, previo il solito permesso, fu poi tenuta la scritta solenne adunanza de' Pastori Arcadi della Colonia Virgiliana per la celebrazione de' giuochi olimpici d'Arcadia in onore di Amarilli Etrusca, cioè della celebre poetessa estemporanea signora Teresa Bandettini. Fatti precorrere i consueti inviti alla nobiltà, ufficialità e cittadinanza, si congregarono gli Arcadi stessi nel suddetto teatro, riccamente illuminato e pieno di spettatori d'ogni ordine, verso le ore 9, al suono di un'allegra sinfonia eseguita dai Professori e Dilettanti della Classe filarmonica della R. Accademia; e il sig. conte Girolamo Murari della Corte, in qualità di Vice-Custode della Colonia, diede principio all'Adunanza con un'elegante Prosa pastorale allusiva all'indicata solennità; dopo di che aprì la recita delle poesie con un suo spiritoso sonetto in lode di Amarilli. Frattanto che si eseguiva una seconda sinfonia, vennero raccolti nelle prime file dell'uditorio diversi temi in iscritto, che furono poi presentati alla signora Bandettini, la quale avendone presi due a sorte, improvvisò tosto sopra uno di essi che versava sull'incontro di Fedra e d'Ippolito negli Elisi. Al di lei canto fece eco una terza sinfonia, dopo la quale ebbe luogo la recita de'componimenti poetici di otto Arcadi, seguendo l'ordine alfabetico de' loro nomi pastorali, giusta l'elenco che ne fu distribuito. Sorse quindi nuovamente la predetta Poetessa, e fecesi ad improvvisare in ottava rima, sopra il secondo tema, che aveva per oggetto Polifemo accecato nell'antro da Ulisse. Tanto il primo, quanto il secondo di questi suoi canti estemporanei, che furono generalmente applauditi nell'atto che i musicali stromenti concedevano il conveniente riposo all'attenzione dei folti uditori, intrecciarono molto opportunamente la recita de' componimenti degli altri otto Arcadi, terminata la quale fu per ordine della Colonia offerto ad Amarilli il premio de' giuochi olimpici, consistente in una corona d'alloro. Non si trattenne la coronata Pastorella dall'esprimere sul momento, con un nuovo canto improvviso, i sentimenti della sua grata riconoscenza per sì bel dono, ringraziando l'intera adunanza colle più eleganti ed affettuose espressioni. Dopo di che ebbe termine la solenne funzione con una lietissima sinfonia, accompagnata dai replicati applausi della numerosa e scelta udienza, composta anche in parte da varj {???} ragguardevoli personaggi esteri qui concorsi ad onorare la predetta adunanza, e ad ammirare il noto valore della celebrata Poetessa, in onor della quale vedevasi innalzata, nel mezzo del Proscenio di detto teatro, la seguente Iscrizione in forma lapidaria:

C.V.C.
HONORI
AMARYLLIDIS
CERTAMEN – OLYMPICUM
COLONIA – VIRGILIANA
INSTITUIT
RITU – SOLEMNI
AB – INSTAUR. OLYMP. I
ANNO – IIII

Anche nel carteggio dell'Accademia Virgiliana v'è qualche lettera della Bandettini, ma insignificante. Con l'ultima, del settembre 1808, manda una composizione, per la morte del suo amatissimo Bettinelli.

(4) Cfr. Portioli, Monumenti a Virgilio in Mantova. Atti dell'Accad. Virg.; 1877-78, p. 19; e Carnevali, L'Accademia, Virgilioi ed i Francesi, ibid., 1884-85, pp. 185 sgg.

(5) Dal voluminoso carteggio del Pindemonte col Bettinelli traggo questi passi relativi alla Bandettini:

Venezia, 5 aprile 1800: "È già noto il suo arrivo, e moltissimi sono in gran desiderio d'udirla".

12 aprile: "Ella ha già improvvisato privatamente e con grande applauso: credo che nella settimana ventura canterà in pubblico. È giunto il Duca di Ceri, suo amico, dall'Ungheria".

19 aprile: "Amarilli cantò in pubblico con gran concorso ed applauso. Io non potei udirla, guardandomi dai luoghi pubblici pel caldo e per altre ragioni: ma l'udrò quanto prima in casa dell'inclita Isabella (Albrizzi) e le darò forse un argomento con un sonetto".

26 aprile: "Amarilli cantò in casa Albrizzi con maggior felicità ancora che prima non avea fatto. Le mando ili sonetto, con cui le diedi un soggetto. Cantò anche la moglie d'Admeto, Annibale in Capua e Piramo e Tisbe; e verametne crescebat eundo. Finì con un problema che io non udii perchè, oltre che il caldo cominciava ad affliggermi, niuno odia più di me i problemi in poesia".

3 maggio: "Ella saprà che l'Amarilli ebbe per uditore in Padova un Cesarotti".

Il Pindemonte, prima d'allora, non s'era mostrato troppo entusiasta della bandettini, e iil Bettinelli, pare, glie n'aveva fatto rimprovero. A che il Pindemonte aveva ripsosto (lett. ultimo novembre 1799): "Perchè vorrebb'ella ch'io volentieri non lodassi Amarilli? Oltre che volentieri io do sempre lode a chi mi par meritarla, chi negarla potrebbe ad Amarilli Etrusca, se ancora fosse men brava, considerando le due condizioni in lei d'improvvisatrice e di donna? Ma nè improvvisatrice appar veramente nelle sue stampe, nè donna, tanta è l'eleganza insimee e la robustezza de' versi suoi".

(6) Il Pindemonte scriveva ancora al Bettinelli (Novare, 13 agosto): "Quanto ad Amarilli so che vuole recarsi a Vienna e non più… Assai felicemente cantò su la sinistra dell'Adige (?), e particolarmente le ottave su l'apparizione dell'ombra di Samuele furono, dicono Silvia e Murari, meravigliose". — E da Verona, poi, il 24 agosto: "Quanto ad Amarilli mi viene scritto da Padova, che molto colà si distinse e massimamente con delle ottave intorno ad Annibale. Che volete che io vi dica della canzone di lei che è nella raccolta? Voi la chiamate di mio gusto, perchè a voi pare che tute le cose veramente belle siano di gusto mio: ma io so quanto io sia lontano dall'entusiasmo e dai voli di quella donna immortale: "Pindarici fontis quae non expalluit haustus".

(7) Rime estemporanee di Amarilli Etrusca, Verona, nella stamperia Giuliari, 1801. — Vi si trovan svolti pressochè tutti gli argomenti accennati in queste lettere.

(8) Di che il Pindemonte al Bettinelli (lett. 2 agosto 1801). "No, quel ritratto di Amarilli non è somigliante".

(9) Da una lettera del quale (Firenze, 16 aprile 1796) L'Ademollo, , riferisce alcune linee velenose sul discredito in cui Amarilli sarebbe venuta a Roma dopo i primi trionfi. "La Bandettini è affatto caduta in Roma: io le ho fatto dare de' temi ove il zibaldone non poteva aver luogo ed è smascherata: ti potrei accludere molte lettere dello storico degli improvvisatori (il Cancellieri), ma basti l'ultima e mostra ancor questa ai panegiristi bandettiniani; vi troverai ancor un'ode fatta da questa falsa ispirata contro i lucchesi, perchè non l'hanno pensionata". La Bandettini compiè dunque quanto aveva minacciato contro gli ingrati conterranei.

(10) Lo chiama sprezzantemente "messer lo calonaco" e deve certamente alludere al Dionisi, che aveva allora pubblicato un suo libercolo Dei vicendevoli amori di m. F. P. e di D. L., Verona, 1802.

(11) Cfr. G. Vedova, Ritratti e cenni biografici di sessanta letterate ed artiste italiane contemporanee.

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