- Performer Name:
- Cicconi
- Performance Venue:
- Torino, Teatro Carignano
- Performance Date:
- 30 November 1832
- Author:
- Date Written:
- 1833
- Language:
- Italian
- Publication Title:
- L’eco: Giornale di scienze, lettere, arti, mode e teatri
- Article Title:
- Letteratura: Parisina
- Page Numbers:
- 129-131
- Additional Info:
- 18 March 1833 (Vol. 6, No. 33)
- Publisher:
- Place of Publication:
- Venice
- Date Published:
- 1833
Text:
Parisina. Tragedia improvvisata da Luigi Cicconi la sera del 30 novembre 1832 nel teatro Carignano, raccolta e pubblicata da Filippo Delpino, stenografo.–Torino, presso Giuseppe Pomba, 1832.
Leggendo il titolo di questa tragedia il pensiero ricorre facilmente al poemetto di Byron, che diede vita e memoria a un infelice caso d'amore italiano, simile allo spagnuolo di Carlo e Isabella, sepolto prima nella congerie della storia e quasi da tutti ignorato. Ma niuno sarà così scortese da richiamare a questo proposito la poesia di Byron o da instituirne un qualunque confronto, per quanto anche il potesse concedere la ragione e la forma diversa de' due componimenti. Chi non fu l'arbitro del suo tema, chi ha dovuto improvvisarlo, non merita di essere, non dirò invero giudicato, ma tormentato in questa maniera: gli si debbono anzi contare a merito le fluttuazioni e le pene ch'egli avrà provate per combattere le sue reminiscenze, e scusarlo se forse chi lo ha preceduto nella carriera, a mente serena e con tutti gli apparecchi dell'arte, non gli abbia abbagliato o sgomentato l'intelletto.
Questa tragedia è veramente improvvisata? Ecco la domanda che tutti sogliono fare, quasi diffidando che l'ingegno possa giugnere a tanto: dimanda che si fece allo Sgricci, che si sarebbe fatta al Carrer se le sue tragedie fossero state raccolte da qualche stenografo, che si fa presentemente al sig. Cicconi, che si farà ancora e sempre: almeno fino a tanto che gl'improvvisatori di tragedie non sieno comuni fra noi come i rapsodi fra' Greci, cosa un po' difficile da vedersi. A me pare che la Parisina del sig. Cicconi sia veramente improvvisata così pe' suoi difetti come per le sue altre bellezze. Ora l'abbondanza e il fascio de' pensieri ch'era agevole scegliere e diradare con effetto maggiore, ora la penuria estrema e il bisogno di afferrarsi a un primo concetto; il disegno generale non affatto deliberato, ma perplesso o ritoccato tra via; un mirabile sorgere e brillare d'immagini non prevedute, che la timida meditazione non potrebbe mai suggerire, ma scoppiano nuove e scintillanti dall'aver dato alla mente la necessità e quindi il coraggio d'una subita creazione; il deviare frequente dal soggetto principale e il fermarsi in circostanze accessorie, circostanze che racchiudono in sè una certa poesia di convenzione, e all'uditore sorpreso, in cui l'impressione istantanea doma il giudizio, strappano l'applauso, l'uso di diffondersi piuttosto che di concentrarsi; la passione un po' troppo loquace e un po' troppo generica; il poeta che trasparisce spesso dal personaggio che deve rappresentare; il verso sovente d'una invidiabile facilità, più sovente abbandonato, non di rado bene costrutto; lo stile ardente ma a caso, elegante e rapido ma a caso, a caso come le cantilene in qualche opera precipitata dell'unico Rossini, ridondante, negletto, lento talvolta dove più sarebbe utile il contrario: difetti e bellezze che se dimostrano irrepugnabilmente che la tragedia fu improvvisata, nè ripulita molto sulla copia dello stenografo, ne fanno poi, a mio credere, una delle più singolari e maravigliose prove dell'ingegno umano. Ma questa opinione debb'essere giustificata da qualche esempio.
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Spero che le osservazioni fatte, nel lungo forse e non di meno affrettato esame della Parisina, avranno lasciato scorgere, che come i difetti sono tutti proprii e inevitabili all'improvvisare così le bellezze fanno fede di una elevata mente poetica, di un'anima franca e capace di sfidare le più grandi difficoltà e di vincere la prova in una operazione intellettuale così istantanea. È questa medesima operazione, la quale ognuno deve avvertire che assista alle sue tragedie, che se da principio sorprende e diletta, nel processo poi, e soverchio prolungata, fa più lento il respiro, mette un certo affanno, uno smarrimento qual si proverebbe a un dipresso al vedere uno che sospeso per una mano pendesse dall'alto sopra un abisso; non ci so altra similitudine. Questo è veramente il più grande argomento della sua facoltà d'improvvisare, e va al cuore di tutti quelli che hanno il sentimento e il desiderio delle arti gentili. Perciò non si potrebbe mai raccomandargli abbastanza d'ingegnarsi a tenersi più serrato, e correre più veloce alla sua meta. E di ciò credo che sia persuaso egli stesso, e ne darà segno nella Accademia ch'egli intende di offerire nuovamente a questo pubblico, e dalla quale molti sono già impazienti di vedere annunziato il giorno.
All'esatto ragguaglio di questo libro resta a dire, che la tragedia è preceduta da un breve a chi legge dello stenografo che la raccolse. Fra le altre cose in esso si dice, che il sig. Cicconi improvvisatore di tragedie andò a Torino a giustificare al cospetto della stenografia l'acquistata fama; ma che cosa avrebbe potuto ridire la stenografia se il sig. Cicconi invece della sua Parisina, avesse improvvisato l'Adelchi del Manzoni o il Saulle dell'Alfieri?
Dopo aver lodato un improvvisatore si suole consigliargli di darsi allo scrivere e di abbandonare la sua arte come troppo leggera e fuggitiva. La gloria duratura e la posterità sono i perni intorno a cui s'aggirano questi consigli: gloria e posterità, certo bei vocaboli e belle illusioni! Ma meritano veramente che un improvvisatore si congedi per essi da tante subite e coraggiose fantasie, ch'egli rinunzi a una facoltà così brillante di rapire, di trascinare con sè la moltitudine che pende dal suo labbro? La gloria e la posterità? E i tormenti d'una lunga meditazione, e i terrori della critica, e la rarità dell'occasione, e le dubbiezze sulla scelta dell'argomento? E poi, se lo scopo non fallisce fin da principio, molti lettori, è vero, fra contemporanei, ma pochi nel secolo successivo, i soli letterati nell'altro; e poi quel linguaggio che fece tremare tanti cuori, che parlò le passioni più tenere, più care all'universale, eccolo in parte diventato ridicolo per vecchiezza, in parte oscuro, e quindi, ch'è peggio, sulle liste de' lessicografi e tra l'unghie de' grammatici; e finalmente l'obblio e la polvere delle biblioteche. Oltrecchè anche la gloria di un improvvisatore può durare. Saffo è più celebre per quello che andò perduto di lei, che pe' versi che le sono attribuiti. Non sono scorsi cinquant'anni e l'eloquenza di Rousseau accenna forse di decadere: Sheridan e Mirabeau, tanto minori di lui quando scrissero, vivono ancora giovani perchè altro non rimase che la memoria della loro parola. Però seguiti il sig. Cicconi a improvvisare; almeno questo è il mio consiglio.
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